“An bazìl”

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Pubblicato la prima volta il 2 Dicembre 2015 @ 18:44

“An vój bazilè”: un verbo dialettale in via di sparizione, ovvero “non mi arrabatto“, “non voglio diventar matto/a”, “preoccuparmi”.

In realtà a volte esprimeva l’intenzione vera di “fregarsene” in situazioni che si presentavano problematiche…ma non di rado si diceva per “mettere i piedi avanti” e nascondere un’autentica preoccupazione o, in molti casi, una sorta di resa.. “a n’ho pió vòja ad bazilè” e questa era la situazione che, in realtà, rasentava la disperazione. E quali erano i casi, i fatti cui si poteva reagire con quell’espressione? Siamo sempre negli anni ’50, primi ’60, la miseria pesava sul presente e sulle prospettive del futuro, la formazione scolastica, quando c’era, si fermava ai primi gradi “fè la firma e dó cùnt”: io stessa ho insegnato, ancora scolara, a più di un babbo di famiglia, alle prese con piccole promozioni sul lavoro, come calcolare le percentuali. Dunque erano pochi, laddove non ci fossero solide basi famigliari, gli elementi del discernimento e capitava che più di un ragazzo “deviasse” cercando scappatoie per sbarcare il lunario, tanto più quando i bagliori di quello che sarebbe passato come “boom” lasciavano intravedere un mondo di benessere dove, per la prima volta appariva il superfluo, aprendo il varco a smanie e desideri che non tutti hanno risolto allo stesso modo.

Sì non sempre si era poveri e felici: Pasolini, i film del neorealismo ce l’hanno descritto bene quel mondo e non a caso le pellicole erano in bianco e nero, non era un fatto solamente tecnico ma, rispecchiando la vita reale, di colore ce n’era poco e molte, tante storie giravano attorno ad un furto. Chi non ricorda “Ladri di biciclette?” In quella storia la bicicletta non era solo un mezzo di trasporto ma lo strumento imprescindibile per il lavoro e, quindi, per mantenere tutta la famiglia. Allora il furto era fisiologico, nel palazzo dove abitavo in via Cairoli, sparivano le lampadine delle scale, le maniglie esterne della porta d’accesso all’unica stanza, il pollo di natale se si aveva l’incuria di “fai fè e’ sangue” sul davanzale della finestra “un sé sèlva gnìnt”, diceva la Elsa. Sparivano le assi di legno nel cantiere dove era il costruzione il “Marvelli” e sparivano le biciclette a volte intere a volte a pezzi.. prima la sella, poi i copertoni quando non le ruote intere. Ho sentito che sarà reintrodotto il bollo sulla bicicletta: ecco anche quello, negli ’50, era preso di mira, tanto che i più lo staccavano ogni volta che parcheggiavano.

Ma c’erano casi in cui dal furto per uso proprio si passava a quello per “guadagnarci qualcosa” esercitando in proprio per poi passare al gruppo ovvero la banda organizzata: gomme d’auto, auto, negozi e capitava in famiglie di sbandati ma anche in quelle che avevano cercato di “tirar su i figli” dando loro i migliori esempi, quelle che quando il figliolo portava a casa qualche oggetto di dubbia provenienza motivando con un “l’ho trovato” rispondevano “ah sé? Alóra val purtè dóv ta l’è tròv”. E quando capitava era una disgrazia.. visite a domicilio dei carabinieri, pianti, urla… né ho viste, sì e ragazzi che sparivano “in tè culéģ di birichìn” è in quelle situazioni che ho sentito più volte mamme disperate “a n’ho pió voja ad bazilè…”.

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