La “monocultura balneare”

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Lo stabilimento della birra Spiess, che sorgeva di fronte alla stazione, nel 1910.

Pubblicato la prima volta il 9 Maggio 2018 @ 09:46

«…Le vere cause di questo atteggiamento vanno ricercate nella scelta politica strategica, sempre e coerentemente perseguita, che privilegia il rafforzamento e l’espansione della rendita fondiaria ed immobiliare al Lido: lo sviluppo esclusivo della marina, al quale vengono subordinate tutte le altre questioni.
Analizziamo qualche fatto emblematico.
Il Consiglio Comunale autorizza il Sindaco, nel 1917, a stipulare un contratto di concessione (da parte dello Stato) della zona demaniale marittima lungo tutto il fronte Comunale (circa 30 km) e di cessione ai privati delle stesse aree per impiantare col ricavato la linea tramviaria elettrica lungo la litoranea; nello stesso periodo lo stesso Consiglio Comunale, sempre più smaccatamente, attua e fa sua la politica “anti-industriale” già avviata un decennio prima dalla Cassa di Risparmio. Anche lo sciovinismo e il razzismo servono allo scopo, come ad esempio per motivare la chiusura e la demolizione della Fabbrica di Birra Spiess (la seconda per importanza commerciale in Italia). Analoga sorte tocca alla Fornace Strabin a San Lorenzo a Monte, entrambe costruite e gestite da industriali svizzeri…

(…)

A questa logica antindustriale si sacrifica nel 1920 l’Idroterapico, il cui abbattimento sancisce la fine di un periodo storico: quello del turismo terapeutico. Nello stesso tempo si abbandona l’iniziativa della costruzione di un grande sanatorio specializzato “proposto da eminenti esperti di talassoterapia per non nuocere alla reputazione e allo sviluppo turistico del lido…”

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Fin dal 1920 è, però, ripresa l’attività balneare e con essa anche l’attività edilizia (e la messa a valore delle aree da parte dei privati proprietari) (…) Il terremoto del 1916, infatti, ha fornito ai proprietari di immobili un pretesto “naturale” per operazioni di ristrutturazione e riuso del patrimonio edilizio (anche solo parzialmente lesionato) per affittare o vendere alloggi – lucrando sul prezzo più alto – durante la stagione estiva ai “signori della marina”. Questi alloggi a volte restano sfitti o vuoti, tanto che la Lega Inquilini, adottando strumenti di lotta radicali, chiede che il Comune requisisca gli appartamenti liberi, attua l’autoriduzione degli affitti del 50% e si batte per il blocco degli sfratti, in particolare durante la stagione balneare. (…) Di lì a pochi mesi, nelle elezioni del 1919, gli “inquilini” saliranno veramente al potere: il partito socialista riesce, infatti, a vincere strepitosamente le elezioni amministrative. (…) L’Amministrazione socialista (sindaco il dott. Clari) mantiene le promesse: emanando dapprima, una ordinanza di sospensione degli sfratti e battendosi poi per la requisizione delle ville e dei palazzi liberi; arrivando addirittura a stabilire una tassa sui vani, in funzione antispeculativa, che colpisce in modo particolare, le residenze di lusso… (…) Ma la tassa sui vani e la promessa di un alloggio per tutti non devono trarre in inganno sulle reali ed autentiche intenzioni della “rivoluzionaria” Amministrazione Comunale, che intende continuare, anzi portare a compimento, quelle che sono sempre state le strategie fondamentali delle precedenti Amministrazioni per lo sviluppo della marina. Una prova palese di questa politica della “continuità” è costituita dalla inaugurazione della linea elettrificata (1921) della tramvia Rimini-Riccione (per il tratto fino a Piazza Tripoli), realizzata grazie a un mutuo di L. 1.200.000 contratto presso la locale e “onnipresente” Cassa di Risparmio. Mutuo elevato, in seguito, a L. 1.300.000 a condizione che l’elettrificazione giunga fino a Riccione “per far progredire la fabbricazione dei villini lungo la spiaggia”, dato che il collegamento tramviario rappresenta l’elemento portante della speculazione lungo il litorale…

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È durante il ventennio fascista che, anche in Italia, si rafforza il nesso grande industria/grandi città da un lato, nascita del tempo libero e delle ferie per le masse popolari dall’altro, tipici di una moderna città industriale.L’ istituzione dell’Opera Nazionale Dopo-lavoro (O.N.D.) nel 1925, la creazione delle Aziende di Cura, Soggiorno e Turismo nel 1926 e degli Enti Provinciali del Turismo nel 1935, sono atti legislativi specifici che confermano sia la volontà di accelerare il passaggio dalla tradizionale villeggiatura alla vacanza – ferie, sia l’interesse del regime a “fascistizzare” il tempo libero degli italiani: nasce il fenomeno dei “treni popolari” tradizionali.
In base a questa strategia le località balneari, anche a causa del contemporaneo sviluppo del turismo sociale (promoso attraverso la realizzazione delle colonie marine), registrano un rapido e ulteriore sviluppo. La costa romagnola, quale sbocco naturale al mare della industrializzata Pianura Padana, viene sempre più strutturandosi, anche se spontaneamente, come una vera e propria Riviera di Romagna.
Quali sono le ripercussioni di queste politiche nazionali nel Riminese? A livello politico il regime non significa solo assenza di dibattito democratico, repressione poliziesca, fine di una tradizione e di un ruolo dei partiti di sinistra che a Rimini hanno origini risorgimentali, ma soprattutto un accentramento del potere politico in poche mani, sua identificazione con il partito fascista, riconferma al governo cittadino di quel gruppo potere, trasversale alle istituzioni pubbliche e private, che costituisce un partito occulto e potente: quello “balneare-immobiliare”. Il partito delle rendite che ha nel podestà Palloni (1929-33) il suo massimo rappresentante: l’Avv. Comm. Pietro Palloni è anche Presidente dell’Azienda di Soggiorno e in precedenza era stato Presidente della locale Cassa di Risparmio. Definitivamente accantonati i progetti relativi alla creazione di una Rimini industriale, la monocultura balneare viene assunta come unico riferimento per lo sviluppo economico della città. Pur di non intaccare le rendite fondiarie ed immobiliari derivanti dall’espansione della Marina, al fine di pareggiare il deficitario bilancio comunale, si preferisce inasprire le imposte indirette che incidono fortemente sul tenore di vita delle classi popolari. La monocultura balneare soddisfa gli agrari: poiché i fedeli mezzadri non possono abbandonare la campagna trasformandosi in operai, agevola gli speculatori fondiari ed immobiliari privati che traggono vantaggio dallo sfruttamento della manodopera a basso costo: ma soprattutto l’assenza di grandi industrie è voluta dai gerarchi locali in quanto il movimento operaio rappresenterebbe un potenziale pericolo di sovversione contro il regime.
Nonostante una massiccia promozione di opere pubbliche, realizzata congiuntamete dal Comune, dall’Azienda di Soggiorno e dal Governo, questi lavori non riescono a compensare gli squilibri causati dalla precarietà e dalla stagionalità del sistema produttivo turistico. Alla fine degli anni ’30 la povertà è una costante del paesaggio economico e urbano

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la politica delle opere pubbliche promossa dagli Enti Pubblici rappresenta l’unica strategia (…) per alleviare il pauperismo urbano. Una politica urbanistica per la creazione della “città lungomare” e contemporaneamente ma non contradittoriamente per la trasformazione della città storica in “città imperiale”. (…) Mentre per la Marina, anche a causa del rapido sviluppo della motorizzazione privata negli anni ’30, lo status symbol del Regime è costituito dalle realizzazioni di ampi lungomari (si ipotizza addirittura una strada litoranea che dovrebbe congiungere Cattolica con Cervia), per la città storica è la “valorizzazione” delle vestigia dei monumenti romani a costituire il paradigma attraverso il quale realizzare la “nuova città imperiale” auspicata dallo stesso Duce. Ma il vero problema da risolvere è come porre “ordine” a posteriori nel caos costituito dall’edificazione al Lido….

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La politica delle opere pubbliche si attua, altresì, attraverso la politica del “piccone demolitore”, che investe tessuti urbani antichi ed è propugnata non solo a fini igienico-urbanistici, ma anche a fini politici-morali, come il progetto di sventramento dell’ “anarchico” Borgo San Giuliano…

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Nel 1923 chiude la Manifattura Tabacchi. Nel 1925 l’Idroterapico viene dichiarato “irrecuperabile” a fini terapeutici e trasformato in albergo (…) il piano del Nuovo Porto va a rilento e del progetto si accentua l’attenzione sulla deviazione del fiume Marecchia, perché interessa direttamente la salvaguardia dello sviluppo urbanistico ed edilizio della Marina.
L’impoverimento produttivo del territorio riminese si evince, anche, dalla guida della città: la Guida del 1926 diviene una “guida balneare”. Alle voci Industria, Commercio ed Arti è dedicata una misera pagina, la città produttiva e permanente da soggetto diviene complemento.Il problema e/o dilemma della promozione di una valida “alternativa industriale e nello stesso tempo la centralità della “coscienza balneare” quale motore dello sviluppo produttivo, costituiscono il fulcro delle discussioni e delle controversie private e pubbliche tra gli amministratori fascisti…

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I progetti più impegnativi, sui quali vengono fatte convergere tutte le risorse del Comune, sono quelli della Marina. In città gli interventi si riducono al “restauro”, a cura dell’Arch. Rastelli dei Palazzi Comunali di PIazza Cavour (1925) e al contributo concesso alla Società Case Popolari, per l’attuazione del Piano Regolatore dell’Anfiteatro, ma operazione, quest’ultima, a fini anticongiunturali: “per risollevare l’economia della città scossa da tanti anni di mancata attività commerciale ed industriale”.
Solo per la Marina non si può badare a spese: “Le spese di una città dell’importanza di Rimini, che dopo la scomparsa di molte industrie, avvenuta per ragioni diverse, attende il suo avvenire dalla valorizzazione della spiaggia, non possono essere esaminate come un problema strettamente contabile, disgiunte dalla loro efficenza produttiva…”. Con questa affermazione il primo Sindaco fascista dela città, il Prof. Del Piano, ammonisce coloro che lo accusano di aver attuato la politica della “finanza allegra” senza essersi troppo prodigato per la Marina.
I problemi dell’Amministrazione Comunale devono identificarsi, esclusivamente, con quelli dei servizi pubblici alla Marina, ai queli deve essere data priorità assoluta. Nello stesso periodo il Lido continua a svilupparsi in modo autonomo, costante e “spontaneo”, senza rispettare alcun piano di sviluppo, che non sia quello “occulto”, riguardante l’espansione della rendita immobiliare e fondiaria. Le statistiche parlano chiaro: nel 1926 il numero dei nuovi vani è superiore all’incremento netto della popolazione del Comune…

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È del 1926 la emanazione del Regio Decreto n.165 (divenuto poi Legge dello Stato n. 1380 del 1 luglio 1926) che consente la creazione di Aziende Autonome di Cura, Soggiorno e Turismo dotate del potere di imporre tasse di soggiorno. Queste aziende hanno, anche, il potere di contrarre mutui, per affrontare le spese delle grandi opere pubbliche, connesse allo sviluppo delle risorse turistiche.
Nel 1927, quando ha inizio il secondo periodo, quello della totale “balnearizzazione” della città, il primo podestà – il dott. Busignani – assume ambedue le cariche più importanti per il “governo” della città di Rimini: è a capo dell’Amministrazione Comunale e contemporaneamente, anche, dell’Azienda di Cura e Soggiorno. Una Azienda che nel 1928 può disporre già di un movimento di capitali pari circa a 3 milioni di lire e può dare, così, inizio ad un programma di opere pubbliche strategiche per un ulteriore sviluppo della Marina…

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Il turismo balneare riminese va lentamente, anche se inesorabilmente, perdendo la sua originaria connotazione mondana e “d’èlite”…»

G. Conti / P. G. Pasini “Rimini Città come storia”, Vol. 2 – pagg. 219-253

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