Rimax e la Morte Nera

0
342

Pubblicato la prima volta il 13 Dicembre 2018 @ 08:48

Rimax capitolo 7 – 1353 La Morte Nera

Il Capitano del Porto ordinò di ricaricare la spingarda. Al primo colpo di avvertimento la scialuppa si era fermata a una ventina di metri dalla palizzata che proteggeva l’imbarcadero. L’uomo ritto sulla prua cercò di parlamentare.

Indossava brache e farsetto consumati dall’uso ma puliti e in ordine. Dal berretto floscio pendeva una lunga piuma colorata. I due uomini ai remi, vestiti rozzamente, non si mossero tenendo i remi sollevati per non far sbilanciare la barca.

– Desideriamo solo commerciare – esordì l’uomo parlando il portolotto, la lingua franca dei porti dell’Adriatico – veniamo dalla costa dalmata e il nostro carico……..

– Il porto è chiuso a causa della peste – lo interruppe il Capitano – se volete commerciare dovrete osservare il periodo di quaranta giorni alla fonda stabilito dalla legge. –

– Quaranta giorni! Non abbiamo sufficienti viveri per affrontare un periodo così lungo! E poi vogliamo sbarcare, siamo stati su questa nave anche troppo tempo senza poter scendere a terra, vogliamo sollazzarci in una bettola ed anche in un postribolo. Vi assicuro che non abbiamo nessun malato a bordo!

– Sono spiacente ma il Municipio impone queste regole. Dovrete rimanere all’ancora a congrua distanza dalla riva, innalzando la bandiera gialla che segnala l’osservanza del periodo di quarantena, per tutto il periodo che vi è richiesto. – rimarcò il Capitano – Non si dovrà verificare nessun contatto fra la vostra nave e la terraferma. L’acqua e viveri che vi necessitano vi verranno inviati per mezzo di una imbarcazione che per nessun motivo potrà tornare indietro fino al termine del periodo stabilito. Chiedete quindi tutto ciò che vi necessita perché non vi saranno, per nessun motivo, ulteriori contatti –

– Va bene – l’uomo dovette giocoforza accettare la proposta – vi diremo di cosa necessitiamo, aspetteremo l’arrivo della vostra barca e poi ci sposteremo al largo. –

– D’accordo, non fatevi però delle strane idee: la sorveglianza sarà accurata e non permetteremo che nulla e nessuno venga a minacciare la nostra sicurezza.

Rimax se ne stava acciambellato su un mucchio di coperte scaldate dal sole e osservava, anche se non sembrava mostrare particolare interesse, l’andirivieni dei soldati che venivano stivando viveri e beni di prima necessità nella scialuppa che si dondolava appena sulle acque calme del porto.

Era affamato e tutte quelle cibarie spandevano nell’aria un delizioso odorino, un invito sottile ad approfittarne. Cautamente, passando di ombra in ombra il gatto scivolò a bordo, nascondendosi fra le casse e i barili.

– Voi di bordo! Vi getto una cima, prendetela e tirate la barca verso di voi! –

Così gridando il marinaio gettò un canapo verso il marinaio che si era affacciato alla prua della nave e si affrettò a spostarsi sulla scialuppa che lo aveva seguito e che l’avrebbe riportato in porto. La scialuppa carica di viveri sulla quale aveva viaggiato cominciò a spostarsi dolcemente verso la nave tirata dai componenti della ciurma che aveva sollecitato. Ben presto la scialuppa fu sotto bordo ed i marinai scesero e cominciarono a scaricarla.

Il gatto scelse quel momento per infilarsi fra le gambe dei marinai e con quattro rapidi balzi raggiunse la tolda e poi si infilò rapidamente sotto coperta.

Topi.

Rimax si immobilizzò, le vibrisse frementi.

Poteva sentirli muoversi nell’ombra e immaginare i loro maligni occhi rosseggiare come braci ardenti nell’oscurità. Topi, e un’inconfondibile sensazione di pericolo e di morte.

Retrocedette cautamente verso la scaletta che portava sulla tolda della nave per riguadagnare l’aria fresca dell’esterno ma proprio in quel momento con un sonoro tonfo le due ante del boccaporto si richiusero, bloccandolo all’interno del veliero. Con un balzo Rimax sfuggì all’orda dei topi rifugiandosi nell’interno della nave.

Immediatamente l’acre e disgustoso odore degli appestati colpì le sue sensibili narici. Confinati nell’oscurità del piano inferiore della nave i marinai moribondi e immobili si mescolavano a quelli scarmigliati e fradici di sudore e di umori che avevano da poco contratto la malattia. Grossi bubboni violacei spiccavano sulla pelle nuda e piaghe purulente facevano gemere gli uomini sdraiati scompostamente sul pagliolato. Passando al di sopra dei malati, seguendo le travature e gli ordinali della nave il gatto cercò una strada per uscire da quell’inferno.

Fuori, in piedi sulla tolda, il Capitano della nave osservava con attenzione la riva.

– Dobbiamo cercare di sbarcare con il favore delle tenebre – disse ai suoi ufficiali – se restiamo sulla nave non si salverà nessuno di noi. Contrarremo la malattia e diventeremo cibo per i pesci.

– Non sarà facile attraccare – certo si aspettano una mossa di questo genere da parte nostra e staranno in guardia – interloquì il nostromo.

– Opereremo una diversione – disse il Capitano – gli uomini scenderanno nelle scialuppe dal lato della nave nascosto dalla costa. Siamo in pochi ad essere rimasti sani e due scialuppe basteranno. Faremo forza sui remi per dirigerci al largo e contemporaneamente accenderemo la miccia che incendierà le vele all’altro capo della nave. Speriamo che il chiarore dell’incendio sia sufficiente ad attirare l’attenzione e a nascondere le nostre barche mentre scivoleranno verso riva. Se saremo abbastanza lontani non ci vedranno.

– E abbandoneremo ad una morte orribile per fuoco tutti coloro che sono ancora vivi? – di nuovo il nostromo si fece interprete del pensiero di tutti. –

– Non possiamo fare diversamente, sono già condannati – commentò amaramente il Capitano e, volgendo lo sguardo verso la città, aggiunse – forse lo siamo anche noi e forse porteremo il contagio fra gli innocenti abitanti di quella città. Ma non abbiamo alternative, se vogliamo salvare la pelle. –

L’ufficiale che al mattino aveva parlamentato col Capitano del Porto si incaricò di inzuppare con l’olio delle lucerne il mucchio di vele e di corde che erano state accatastate a poppa e quindi tracciò una lunga striscia con la polvere da sparo sulla tolda della nave. Fu l’ultimo a scendere nella scialuppa e dopo aver acceso la miccia con l’acciarino si sedette e si mise a remare anche lui come un forsennato per portare l’imbarcazione fuori vista.

Quando il fuoco divampò Rimax aveva da tempo trovato riparo sulla coffa del veliero, dopo essersi arrampicato rapidamente a forza di unghie lungo le sartie e le vele. Da lassù vide l’agitarsi della guarnigione che proteggeva il porto e che stava seguendo ciò che succedeva sulla nave. Udì il clamore di voci e grida strazianti di coloro ancora in vita che si alzava dai ponti inferiori della nave condannata. Nel rogo, alimentato da un forte vento, nessuno dei malati riuscì a raggiungere il parapetto e a buttarsi in acqua.

Mentre le due scialuppe raggiungevano non viste la riva ed i marinai scomparivano in fretta nell’oscurità il ruggito delle fiamme, soverchiò qualsiasi altro rumore. Sul veliero il calore divenne insopportabile.

Rimax saltò.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.